Più passa il tempo, più la “pensata dell’amministrazione monfalconese” di fissare un tetto massimo del 45%
di bambini stranieri nelle classi delle scuole materne, cioè bambini dai 3 ai 5 anni di età, mostra tutti i limiti
e le inevitabili contraddizioni che sorgono quando si deve passare dal dire al fare. Ne è prova il nervosismo
con cui la maggioranza, pur di non affrontare il punto, ha mandato a monte la seduta della Commissione
per il controllo dell’ente e delle partecipate in cui si sarebbe dovuto ragionare operativamente
sull’attuazione della proposta. La realtà è che l’amministrazione sta gestendo questo tema alla giornata,
senza la benché minima programmazione né di breve, né di lungo periodo. Nessuna strategia condivisa è
stata elaborata con gli altri colleghi sindaci, mai incontrati per un eventuale percorso di “accoglienza
diffusa” tra i comuni vicini. Non è stata presentata alcuna previsione di bilancio per quantificare il costo del
“trasporto scolastico utenti 3-5 anni” incluso l’accompagnamento obbligatorio e la mediazione; nessuna
procedura amministrativa per la formalizzazione di questi due nuovi servizi, che il comune dovrebbe
attivare e finanziare per un periodo non inferiore ai tre anni, cioè l’intero ciclo scolastico che partirà questo
settembre, è stata ancora avviata.
Il vero tema però non è che a un mese e mezzo dall’inizio della scuola l’amministrazione dimostra di
brancolare ancora nel buio, ma piuttosto va seriamente considerato il rischio di un drastico calo delle
iscrizioni. Non va dimenticato che la scuola dell’infanzia non è scuola dell’obbligo, di conseguenza più si
rende difficile alle famiglie la fruizione del servizio pubblico, maggiore è la probabilità che queste ultime
rinuncino e finiscano con il tenersi i bambini a casa. L’aggravante sta nel fatto che oggi chiedono l’iscrizione
alle materne proprio quelle famiglie che vogliono integrarsi e affrancarsi da un senso di comunità che
ancora troppo spesso sopperisce a ciò che la parte pubblica non è in grado di dare.
La proposta di gestire bambini di età dai 3 ai 5 anni come fossero “richiedenti asilo politico” da smistare,
pro quota, nei vari comuni ha già sortito l’effetto di mettere questi piccoli e le loro famiglie nella condizione
di “esclusi”, rifiutati da una comunità che ha già rinunciato ad occuparsene e si preoccupa solo di allocarli
un po’dove capita. Tempo tre anni e questi piccoli arriveranno alle scuole elementari, primarie dell’obbligo,
dove non c’è tetto che tenga perché, per legge dello stato non ci possono essere limiti, l’iscrizione è
obbligatoria e viene decisa dalle famiglie e dal dirigente d’istituto; il sindaco di turno riveste il solo ruolo di
proprietario dell’immobile scolastico e poco più. Il risultato sarà che molti ragazzini approderanno
direttamente dalla famiglia alla scuola dell’obbligo e l’impatto nelle classi sarà ancora maggiore.
Qui si inserisce il vero tema, attualmente a Monfalcone il 58% della popolazione scolastica è composta da
bambini stranieri, dato ineludibile ed in crescita. Le strade che gli amministratori hanno davanti sono due,
attivare delle strategie per iniziare percorsi di integrazione quanto prima possibile, in modo da creare classi
delle primarie il più possibile omogenee per competenze già acquisite, oppure fare l’esatto opposto,
emarginare questi piccoli, metterli di fatto nelle condizioni di affrontare con difficoltà la scuola dell’obbligo
e accettare l’inevitabile rischio di un precoce abbandono dell’obbligo scolastico durante la fase
adolescenziale.
Una cosa è certa i piccoli di oggi saranno i cittadini di domani, accettare la sfida che istruire è il primo passo
per integrare e far crescere i cittadini del futuro dovrebbe essere un principio condiviso di tutte le
democrazie compiute.
Segretario provinciale PD Gorizia
Silvia Caruso