Un mondo di persone
Dobbiamo usare parole semplici per definire cosa siamo e cosa vogliamo essere,
perché se è vero che la società è complessa e richiede risposte altrettanto articolate,
è altrettanto vero che le idee di dove andare e di come andarci devono essere
chiare.
In termini moderni dove andare si chiama “Vision”, come andarci si chiama
“Mission”.
Noi preferiamo chiamarlo solo bisogno di avere un “Orizzonte”, qualcosa a cui
tendere, qualcosa per cui vale la pena impegnarsi, qualcosa che risponda, o che tenti
di farlo, ai molti perché della nostra esistenza, qualcosa che dia un senso a tutto
questo. In più va detto che il bello dell’orizzonte è proprio la sua vaghezza, il non
essere definito, la sua permanente flessibilità e al contempo la sua concreta
esistenza, perché c’è, si vede, ma in una sfera è sempre infinito.
Ricordate la famosa frase di Kennedy sul PIL? Lasciamo pur stare una buona dose di
retorica in quella frase, ma una cosa è certa, la vita delle persone non può essere
misurata solo dal denaro.
Società libera e aperta
Perché siamo di sinistra? Perché vogliamo costruire una società libera e aperta.
Libera, perché solo in una società libera gli individui sono liberi e possono avere pari
opportunità.
Aperta, perché siamo contro lo sfruttamento delle persone da parte di altre persone
in nome del profitto.
Lo strumento per farlo è il sistema democratico, parlamentare e rappresentativo. Il
resto è solo potere in mano a pochi, spesso molto ricchi. Di solito chi attacca le
istituzioni democratiche lo fa solo per farsi meglio gli affari propri. Il che non vuol
dire che le istituzioni democratiche non possano essere migliorate, ma con
l’obiettivo di farle più forti e non di farle più deboli.
I Social network non rappresentano uno strumento di società libera e aperta, non
ora almeno con queste regole. Essi sono facilmente manipolabili, e spesso sono solo
lo strumento di campagne di opinioni costruite su menzogne, denigrazioni e
intimidazioni. È un Far West, non basta l’educazione e non si può starne fuori, ci
serve Tex Willer che colpisca i cattivi.
L’opposto di una società libera e aperta è una caserma, dove muore lo stato di
diritto. Qualcuno lo chiama Medioevo, secondo noi con una certa forzatura, ma
rende chiara l’idea di una società xenofoba dove i rapporti umani sono sostituiti
dalla appartenenza al clan, alla tribù, e dove i diritti individuali sono solo un
impaccio alla forza della tribù nei confronti delle altre tribù.
Loro dicono “prima gli italiani”, noi diciamo “prima le persone”.
Loro dicono “padroni a casa nostra”, noi diciamo “la città è di tutti”.
Loro dicono “il nostro capitano”, noi diciamo “la nostra democrazia”.
Questo è lo scontro. A questo punto qualcuno si chiederà se al PD serva più la
proposta o la protesta. Domanda inutile, a questo punto serve tutto, ma veramente
tutto, ma soprattutto serve una nuova rotta, verso una società libera e aperta.
Europa: cose già dette e parole perse
Ma perché è così forte questa cultura del recinto, al punto tale da influenzare anche
persone che si definivano, e si definiscono ancora, progressiste?
Rileggendo quanto già scritto in passato riprendiamo un concetto che ci è caro e di
cui siamo convinti: la globalizzazione con annessa perdita di centralità del bacino del
Mediterraneo, le continue guerre e disuguaglianze che producono morte e flussi
migratori inediti, la rivoluzione Internet con la disponibilità immensa di banche dati
alla portata di tutti e infine una crisi economica interminabile hanno logorato l’idea
di Europa e messo in discussione molte certezze su cui si basava il nostro concetto di
civiltà.
Qualcuno dirà, è il mondo che cambia bellezza. Si, ma l’Europa e le sue istituzioni si
sono trovate di colpo impreparate, deboli e impaurite, al punto tale di mettere in
discussione lo stesso sogno europeo. Niente di buono sotto il sole ed è quindi
dall’idea di Europa che bisogna ripartire.
Il PD si è identificato da sempre con il sogno europeo, metafora di una società più
libera e aperta, di una società in pace e non in guerra.
L’Europa dei nostri sogni però ha cominciato a morire con la crisi greca, sempre
meno occasione e sempre di più imposizione.
Oggi gli Stati Uniti d’Europa sono lontanissimi, pur in presenza di una mole enorme
di legislazione europea, molte volte vincolante. Bisogna ripartire da una Europa
sociale, perché come disse Habermas “il welfare europeo è stato l’unica e la più
grande riforma socialdemocratica e popolare”.
È il sociale dunque la nuova frontiera. È attorno al sociale che si può e si deve
costruire un nuovo sogno europeo.
Deve far pensare che la politica del recinto e delle piccole patrie trova il consenso
delle parti più deboli della popolazione, che si sente semplicemente abbandonata se
non perseguitata dalle politiche di bilancio e monetarie. Se qualcuno tiene in
ostaggio la tua vita, è naturale che cerchi di difenderti, e la tribù è la cosa più a
portata di mano. Per farlo abbiamo bisogno di una Europa federale.
Non stiamo parlando del terzo mondo. Con tutto rispetto per i BRICS e la loro
crescita, l’Europa resta una delle zone nel pianeta dove si vive meglio. Il problema è
che il suo modello non è più espansivo. Non siamo più noi a tracciare il solco, ma
seguiamo se va bene.
Il PD quindi deve dire, Europa si ma non così. Il PD deve allearsi in Europa con chi ha
una visione progressista del futuro e proporre grandi riforme strutturali sociali, che
creino sviluppo e soprattutto coesione sociale. Non è solo la partita dei flussi
migratori, ma quella del sistema previdenziale, del modello di assistenza, dei diritti
civili, delle tutele nel mercato del lavoro, della guerra alla criminalità organizzata.
Parole perse e disattese, inseguendo politiche monetarie estranee alla nostra vita
quotidiana.
L’Europa del dopoguerra è nata dal Piano Marshall, che era tutto tranne una regola
bancaria. L’Europa della caduta del muro, è rinata con uno sforzo comune incurante
dei soldi. Oggi l’Europa ha bisogno di un nuovo Piano Marshall sociale, per ritornare
a essere nella mente dei suoi cittadini La Comunità Europea a cui appartenere.
In questo senso possiamo dire che il PD deve essere un partito europeo, e
aggiungiamo social-europeo. Oggi invece siamo un partito nazionale, e aggiungiamo
poco sociale. Qui si apre un mondo. Il PSE è sulla carta, motore del nulla.
Non diciamo “proletari di tutto il mondo unitevi”, ma quasi.
Federalismo: il sogno di Darko Bratina
Il contrario del centralismo è il federalismo. Chissà perché adesso non è più di moda,
eppure è un sistema che funziona, gli USA e la Germania lo stanno a dimostrare. Il
federalismo permette di esser allo stesso tempo padroni a casa e nostra e parte di
una società aperta a tutti. Va detto che noi non abbiamo una cultura federalista,
perché il nostro è un Paese nato dai Comuni, quindi dai campanili. Ma una cosa è
certa, proporre e continuare a proporre un sistema centralistico oggi è come
pensare di vivere nel secolo scorso. Il sistema dei poteri, Europa, Nazioni, Territorio
è da sempre legato da un conflitto di fondo: da un lato più Europa e più Territorio,
dall’altro più Nazioni e meno Europa e meno Territorio.
Va detto anche che il concetto di centralismo e di nazionalismo, oltre a camminare a
braccetto, implicano anche quello di statalismo che rappresenta il braccio armato di
tale politica. Lo Stato da, lo Stato toglie.
L’Italia è purtroppo prigioniera di una idea nostalgica di Nazione del ‘800.
Il federalismo non è solo quindi in una società liquida la soluzione migliore per
l’Europa, ma lo è anche per l’Italia e per la forma partito del PD. La forma partito,
infatti, è da sempre uno specchio della forma istituzionale, a maggior ragione in FVG
che è una Regione autonoma. Qui si può scrivere un libro. Basta dire che da sempre
nel PCI PDS DS PD e vale anche per gli altri percorsi, esiste una enorme differenza
nei gruppi dirigenti tra chi “va a Roma” e chi “sta a Roma”, e con questo abbiamo
detto tutto.
L’autonomia del PD regionale avrebbe due grandi conseguenze di prospettiva, la
prima che si potrebbe lavorare per una più forte autonomia della Regione, la
seconda che si potrebbe lavorare per costruire legami europei istituzionali e/o di
partito con molte realtà oltre confine. Il che non farebbe male, visto cosa succede ai
nostri confini.
Una volta Darko Bratina ricordava a tutti che l’Europa non è una massa indistinta ma
è fatta di migliaia di “minoranze” e di territori che sono la vera anima dell’Europa
stessa e del nostro sogno. Dobbiamo riappropriarci di quel sogno.
Un partito federale poi ha anche altre conseguenze, non banali. La prima che
potrebbe generare un gruppo dirigente degno di questo nome e non figlio di
mozioni che sempre (non quasi sempre) vengono calate dall’alto e per natura sono
slegate dal vissuto. La seconda, non meno importante e diremmo forse decisiva, è il
rapporto nuovo che inevitabilmente si andrebbe a creare con il mondo delle liste
civiche. Qui merita un approfondimento.
Il rapporto attuale del PD con le liste civiche è a dir poco surreale. Noi vogliamo liste
civiche che assomiglino a noi, praticamente l’ideale per noi sarebbe figliarle. Qui
bisogna cambiare totalmente registro. Le liste civiche sono civiche e quasi sempre la
pensano diversamente da noi. Sono espressione di emozioni e stati d’animo, di
battaglie precise, di ambizioni precise. Spesso sono precarie. Spesso sono
episodiche. Quindi ciò che deve cambiare è il nostro rapporto con loro. Una
coalizione non si fa se noi siamo l’ombelico del mondo a cui tutti devono tendere,
ma si fa se la coalizione è un autobus nel quale ognuno porta la sua forza e le sue
idee. In due parole per parlare in maniera nuova alle liste civiche dobbiamo essere
più un partito coalizione e meno gli unti del Signore.
Per farlo dobbiamo essere un partito del territorio, autonomo. Noi stessi una lista
civica.
Un partito provinciale
Ogni livello di organizzazione politica viene definita almeno da due parametri
indispensabili: il progetto e l’organizzazione, altrimenti e semplicemente non serve.
IL PROGETTO: un partito che vuole continuare a chiamarsi provinciale e che fa
riferimento ad un territorio e non all’Ente Provincia che non esiste più, ha bisogno di
un progetto provinciale. Bisogna tornare a pensare ed a elaborare politiche
territoriali provinciali. Oggi non è così. La scomparsa della Provincia ha lasciato un
vuoto di elaborazione, Comuni e circoli si sono rintanati nel proprio orticello. Il lutto
va elaborato e superato: ci deve essere una politica provinciale anche senza la
Provincia.
L’ORGANIZZAZIONE deve essere conseguente, con una Segreteria Provinciale che si
riunisce settimanalmente e che opera come una vera e propria giunta provinciale,
con incarichi chiari e netti, responsabilità precise e riconoscibilità dei suoi
componenti. Se un circolo vuole approfondire il tema degli ospedali, ci deve essere
un responsabile provinciale della sanità, che avrà fatto un suo gruppo e potrà
aiutare il circolo stesso. Questo vale anche per il lavoro, l’ambiente, le opere
pubbliche, gli enti locali, la cultura, lo sport, l’istruzione e via di questo passo. Figure
importanti, oltre ovviamente al segretario provinciale, diventano quella della
organizzazione, quella della comunicazione e il tesoriere: un vero e proprio staff del
segretario. Lo scontro è durissimo perché in gioco è la democrazia e il futuro
dell’Italia, abbiamo bisogno di un partito che regga lo scontro. Non ci serve una
segreteria provinciale pletorica fatta con il bilancino dei territori, ci serve una forte e
autorevole cabina di regia.
Riformismo: chissà perché
Chissà perché ogni volta che si parla di riforme, c’è qualcuno nel PD che ci tiene a
precisare che le riforme si devono fare anche se impopolari. Abbiamo sempre
pensato che questo sia un ossimoro.
Infatti, a che servono le riforme? A far vivere meglio, quindi perché dovrebbero
essere impopolari? In quella affermazione c’è implicitamente un giudizio di merito
sul popolo (passateci il termine generico), ovvero che se le cose vanno male è colpa
del popolo. Quindi il popolo è il nemico, ignorante, infantile e incapace di sapere
cosa è bene per lui o no. Ecco in due parole cos’è la nostra tanto declamata
supponenza. Non è una questione psicologica, e che il PD si è fatto carico di
“salvare” l’Italia più che di rappresentarla, e per farlo abbiamo fatto prevalere
l’aspetto tecnico a quello politico, che è l’esatto opposto di quello che stanno
facendo Lega e 5S, ma una via di mezzo non è possibile?
La politica non è solo competenza, per quella ci sono i Dirigenti anche ben pagati.
La politica non è solo titoli di studio e curriculum, in una democrazia anche un
povero può governare soprattutto se, come avviene in Italia, il cosiddetto ascensore
sociale è bloccato.
La politica è prima di tutto rappresentanza. Punto.
Quindi invece di sparare fregnacce sulle riforme obbligatoriamente impopolari,
chiediamoci quale vuole essere il verso di queste riforme nel mondo nuovo.
Di certo una parola chiave: biodiversità. Sia sociale e sia ambientale:
una società per tutti perché la diversità è una ricchezza e perché il sociale
rappresenta la nuova frontiera sia occupazionale e identitaria dove nessuno
deve essere lasciato solo;
un nuovo modello di sviluppo eco sostenibile, perché il mondo è uno solo ed è
proprio li che crescono i lavori più qualificanti, dove il nostro Paese può dire
molto.
Di certo non sfruttamento su altre persone.
Di certo un buon lavoro per tutti, perché la nostra società è basata sul lavoro e non
sul ricatto del lavoro.
Di certo diritti civili per tutti e pari opportunità per tutti.
Di certo cultura e istruzione, perché è il più grande investimento che possiamo fare.
Di certo innovazione, tanta tanta innovazione.
Di certo conti a posto e tagli ai privilegi e alla corruzione.
Di certo territori forti, perché il territorio non è il problema ma spesso la soluzione
del problema.
Di certo una nuova forma Stato e una nuova Europa sociale.
Poche certezze ma forti.
PD: una questione personale
Ne esce un PD popolare, riformista per il nostro futuro, federalista, social-europeo.
Un PD che include e non esclude. Una politica delle alleanze aperta e rispettosa di
tutti i partners. Alleanza popolare? Alleanza democratica? Nuovo centrosinistra?
Chiamatela come volete, a noi piace la parola “Unità”, ci è sempre piaciuta e siamo
sicuro che se si prende la strada giusta si riuscirà a declinarla al meglio.
Un cambio di rotta dunque, per rifondare il PD e rifondare l’idea progressista. Non si
tratta di cambiare il nome. Non si tratta di criticare il passato, non serve. L’Italia è un
Paese dove tutti sono ex di qualcosa. Adesso abbiamo bisogno di tutti. Noi che
sogniamo un mondo di persone dobbiamo ricordarci che la politica, per
antonomasia, è sempre una questione personale.
PD Circolo san Pier d’Isonzo
San Pier d’Isonzo, 25 settembre 2018