I sindaci isontini a Roberti «Non accettiamo decisioni prese sulla nostra testa»

I sindaci isontini a Roberti «Non accettiamo decisioni prese sulla nostra testa»

La rabbia dei primi cittadini non convocati al vertice sulla riforma degli enti locali. Sono pronti a manifestare con la fascia tricolore

Sindaci isontini sul piede di guerra. «Dall’assessore regionale Roberti uno sgarbo che va ben oltre la forma già discutibile: non accetteremo decisioni prese sulla nostra testa e siamo pronti a dimostrarglielo».

Il caso politico è servito, in vista della riunione convocata per lunedì a Monfalcone dall’assessore regionale alle Autonomie Locali Pierpaolo Roberti per discutere il futuro assetto del sistema Regione-enti locali, con particolare riguardo – ca va sans dire – proprio per le questioni riguardanti l’Isontino. Una riunione alla quale però sarebbero stati invitati solamente i sindaci di appena 7 comuni su 25 della provincia di Gorizia: quelli dei due centri più popolosi (Gorizia e Monfalcone), quelli dei due meno popolati (Dolegna del Collio e Doberdò), di San Floriano del Collio in rappresentanza della comunità di lingua slovena, ed infine i due primi cittadini delle municipalità che rappresentano il territorio in seno al Consiglio delle Autonomie Locali, Cormons e Grado. Un criterio che non è affatto piaciuto alla stragrande maggioranza dei sindaci dei comuni rimasti esclusi dal “vertice”, già preoccupati dal temuto smembramento della provincia e dalla possibile “annessione” a Trieste, e ora spiazzati da quello che definiscono un vero e proprio sgarbo istituzionale. Si sono ritrovati ieri in municipio a Gradisca non solo per esprimere contrarietà al metodo adottato dall’esponente della giunta Fedriga («sconcertati» e «basiti» i due aggettivi più utilizzati) ma per annunciare un’immediata e clamorosa controffensiva se la situazione non rientrerà nelle prossime 24 ore: «A quell’incontro siamo pronti a recarci ugualmente, con tanto di fascia tricolore». «Dell’incontro di Monfalcone – hanno spiegato due dei portavoce della “levata di scudi”, Linda Tomasinsig per Gradisca e Davide Furlan per Romans – i sindaci della Destra Isonzo sono stati informati grazie alla correttezza istituzionale del primo cittadino di Cormons, Roberto Felcaro. Addirittura all’oscuro di tutto invece quelli della Sinistra Isonzo». «Un atteggiamento intollerabile – fanno eco il sindaco di Staranzano, Riccardo Marchesan, e di Savogna Alenka Florenin – da parte di chi a parole aveva assicurato di voler coinvolgere tutti i comuni nella concertazione sul futuro del territorio. Non siamo ancora entrati nel merito di una riforma di cui non si sa nulla, che già manca il rispetto per i cittadini e dei loro rappresentanti: non certo un grande inizio». Presente al “patto fra i sindaci” di Gradisca anche il primo cittadino di Grado, Dario Raugna che – pur formalmente invitato da Roberti – preannuncia di essere pronto a rimanere fuori dal summit per solidarietà ai colleghi. «La sede istituzionale per un incontro tanto delicato è la Regione, o al limite Gorizia in quanto capoluogo – argomenta Raugna -. E forse proprio dal sindaco Ziberna ci saremmo attesi, e ci attendiamo ancora, un salto di qualità e di personalità».
Sanità: Moretti (Pd), con ok a Nue Giunta Fedriga scopre le carte

Sanità: Moretti (Pd), con ok a Nue Giunta Fedriga scopre le carte

«Dopo aver strumentalizzato spudoratamente la nostra riforma sanitaria ora la Giunta Fedriga scopre le carte. Non solo non hanno fatto nulla, salvo aver umiliato territori come l’Isontino e l’Alto Friuli, ma ora è proprio chi hanno scelto per dirigere la nuova azienda zero a confermare che le nostre scelte erano giuste». A dirlo è il Segretario Provinciale del Pd, Diego Moretti commentando le dichiarazioni del neo commissario dell’Azienda Regionale di coordinamento per la salute (Arcs), Nicola Zavattaro.

«Scegliendo come dirigente dell’azienda zero chi è stato direttore amministrativo di Areu, (l’Agenzia regionale emergenza urgenza della Regione Lombardia), la Giunta Fedriga conferma la nostra impostazione sul Nue. Parliamo della stessa persona che ha gestito il numero unico in Lombardia, il modello a cui ci siamo ispirati. Su questo il centrodestra ha condotto in passato una guerra senza quartiere, oggi invece sostiene quello stesso modello. Il fatto che il commissario Arcs promuova degli assi portanti nostra riforma, dall’accorpamento ospedale-territorio al Nue, la dice lunga su quanto siano stati strumentali, in passato, gli attacchi del centrodestra». Il numero unico 112, continua Moretti, «ricalca il modello lombardo, dal quale siamo partiti per dare vita allo stesso servizio».

«Che il territorio vada rafforzato siamo tutti d’accordo e Cap e infermieri di comunità sono una faccia della stessa medaglia. Ma non va dimenticato che se il Cap di Gorizia non funziona, a differenza di quello di Grado che funziona, è perché non tutti i soggetti hanno lavorato per farli funzionare, salvo poi sparare contro la riforma in maniera strumentale. Un atteggiamento quantomai discutibile, ancor più pensando che di mezzo c’è la salute pubblica».

«Cerimonia ridimensionata grazie alle nostre pressioni»

«Cerimonia ridimensionata grazie alle nostre pressioni»

E proprio sull’attacco verbale di un gruppetto di manifestanti nei confronti del Pd – reo a loro giudizio di «essere stato il partito che più ha fatto per sdoganare il fascismo» interviene il segretario isontino Diego Moretti. «Dispiace, soprattutto perché parliamo di contestazioni assolutamente strumentali e assurde.
La realtà è che sabato a parte quei pochi contestatori abbiamo visto una piazza unita, tante persone e anche molti giovani, al contrario di quanto pensa Ziberna.  E anche se la manifestazione si fosse svolta davanti al Municipio sono convinto che da parte di tutti gli antifascisti ci sarebbe stata una protesta totalmente pacifica, proprio come è avvenuto in piazza Vittoria».

 

 

 

 

Reddito di cittadinanza: la bufala della disabilità

Reddito di cittadinanza: la bufala della disabilità

Pubblichiamo il comunicato stampa inviatoci da: http://www.fishonlus.it/

 

Reddito di cittadinanza: la bufala della disabilità

Uno degli impegni più severi nelle prossime ore sarà quello di spiegare alla nostra gente come – al di là degli annunci e dei giochi con i numeri e le parole – la disabilità sia stata ignorata nel decreto sul reddito di cittadinanza.” Così commenta Vincenzo Falabella, Presidente FISH, il testo del decreto legge approvato ieri sera in Consiglio dei Ministri e su cui FISH aveva chiesto con decisione emendamenti volti a migliorarne i contenuti che non sono stati accolti nemmeno in minima parte.

Alle moltissime persone che già ci contattano in queste ore andrà innanzitutto spiegato che l’annunciato aumento delle pensioni di invalidità non trova alcuna concretezza nella misura approvata dal Governo.”

Ma non è tutto: per come è articolato il testo, i nuclei in cui sono presenti persone con disabilità, titolate di pensione di invalidità civile, verranno inequivocabilmente trattati meno favorevolmente delle famiglie in cui non sia presente una persona non autosufficiente o con disabilità. E questo a identica situazione di povertà assoluta.

Perché? Il gioco è molto semplice: – prosegue Falabella – vengono considerate alla stregua di un reddito le stesse pensioni di invalidità, criterio che avevamo chiesto fosse espunto dal decreto. Inoltre nessun coefficiente aggiuntivo considera la presenza di una persona disabile nel nucleo.” L’apparente contrasto sul “nodo disabili” fra le due forze di maggioranza non ha prodotto alcuna modificazione sostanziale alla bozza del decreto.

Il Ministro Di Maio però ha dichiarato che il reddito di cittadinanza riguarda anche circa 250mila nuclei in cui sia presente una persona con disabilità. “Si gioca con i numeri: in Italia, e ce lo dice ISTAT, esistono 1.700.000 nuclei in condizione di povertà assoluta. Questi rappresentano, per dichiarazione dello stesso Governo, la platea dei beneficiari del reddito e della pensione di cittadinanza. All’interno di quei nuclei poveri assoluti vi sono anche persone con quella disabilità che è una delle prime cause di impoverimento. Quando il Governo, in tutte le sue componenti, è stato messo alle strette dalle nostre serrate critiche, il Ministero del Lavoro ha effettuato un sommario controllo sulla banca dati ISEE scoprendo che vi è un numero consistente di famiglie sotto la soglia di 9.360 euro con una persona con disabilità al loro interno. Appurato tardivamente ciò, invece di elaborare risposte congruenti, ha usato il dato a fini propagandistici lasciando inalterati quei criteri che trattano meno favorevolmente proprio quei nuclei.”

I risultati sono quindi evidenti: nessun propagandato aumento delle pensioni di invalidità e l’importo del reddito di cittadinanza sarà, in tutti i casi, più basso quando in famiglia c’è un disabile, un titolare di pensione sociale, un giovane che percepisce una borsa lavoro.

Di fronte a queste evidenze – conclude il presidente Falabella – non ci resta che chiamare a raccolta le nostre associazioni e tutte le organizzazioni dell’impegno civile e chiedere con forza al Parlamento di censurare e modificare quel testo visto che il Governo ha pedissequamente ignorato ogni ragionevole richiesta di emendamento!”

 

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Enti locali: Moretti (Pd), disegno folle di Roberti, con nuove Province, isontino fatto a pezzi

Enti locali: Moretti (Pd), disegno folle di Roberti, con nuove Province, isontino fatto a pezzi

«Ritornare alle Province elettive è assurdo e antistorico. Proporre un disegno dove l’isontino o viene assorbito da Trieste o ne esce fatto a pezzi è del tutto folle e dimostra, ancora una volta, la considerazione pari a “zero” che la Giunta Fedriga ha del nostro territorio. Tutto questo avviene sotto il silenzio degli esponenti del centrodestra locale». A dirlo è il consigliere regionale del Pd, Diego Moretti, commentando le dichiarazioni dell’assessore alle Autonomie locali, Pierpaolo Roberti sulla volontà di ricostituire nuove Province elettive.

«È agghiacciante la visione che Roberti ha della Città metropolitana di Trieste: Gorizia da una parte come Provincia, Monfalcone dall’altra, inglobata nella Città metropolitana. Salvo, dice l’assessore, ascoltare tutti preventivamente. Il mantra dell’ascolto che abbiamo sentito per mesi è una colossale presa in giro, mantra al quale crede solo lui. Poi quello che succede è che ai sindaci ci si passa sopra, gli alleati invece abbassano la testa. Così è stato per la Sanità, dove l’isontino è stato svenduto a Trieste, con i sindaci Cisint, Felcaro e Ziberna nella parte degli spettatori. Così è chiaro che avverrà per gli Enti locali, con un modello ricopiato in maniera simile se non identica». Secondo Moretti, «sono proprio questi sindaci, per primi, che dovrebbero sostenere gli interessi del territorio. A parole sembrano leoni, peccato che alla prova dei fatti non sono stati più che docili e fedeli agnellini, succubi ai piedi di Fedriga e Roberti. Dovrebbero difendere i loro territori, ma invece difendono esclusivamente gli interessi dei propri partiti. Noi non staremo da quella parte».

nel percorso del PD Provinciale “IDEE A CONGRESSO” diamo spazio alle proposte pervenute alla Segreteria Provinciale (di CRISTIANO SHAURLI)

Nel nostro Congresso dobbiamo partire dall’Europa
La crisi sociale e economica di questi anni si è trasformata per tutte le forze progressiste e
riformiste in una profonda crisi politica ed istituzionale. Si è aperto un baratro tra le persone,
i loro problemi e le soluzioni che nelle sedi istituzionali vengono trovate.
Segniamo drammaticamente il passo di fronte a proposte populiste, dirette e sovraniste.
Cambiamenti epocali in tutto il continente hanno creato ed alimentato nuove paure, senza
che noi fossimo a volte capaci di comprenderle, interpretarle e darvi risposta.
Dobbiamo cambiare. È necessario lavorare per ritrovare le ragioni che ci consentano di
riprendere il cammino della rappresentanza e del consenso, ritornando ad essere punto di
riferimento per tutta la popolazione e non solo di gruppi o élites socialmente rassicurate o
economicamente già forti.
Fra pochi mesi si terranno elezioni decisive per il futuro del nostro continente e dell’Unione
Europea come l’abbiamo intesa, costruita e sognata negli ultimi decenni. Non basterà certo
il nostro congresso regionale a mutare questi scenari o a rilanciare una proposta europea
che rappresenti un’alternativa alle derive populiste e di destra, ma è fondamentale assumere
che questa è la sfida più grande che ci attende e che ognuno deve assumersi come priorità.
Farlo in una Regione come la nostra in cui conflitti e confini hanno segnato
drammaticamente la vita delle persone ed in cui, nel contempo, convivono identità plurali,
dovrebbe essere più semplice. Ogni giorno però, vediamo che i confini tornano ad essere
rassicuranti, che la paura dell’altro permea le coscienze, abbiamo visto ad ogni livello come
vengano meno speranze collettive e rappresentanze per una sorta di particolarismo in difesa
di interessi sempre più personali.
Se il pendolo della storia è spinto dal vento della paura di perdere quello che si ha, o di non
poter migliorare la propria condizione, se è consolidato da proposte populiste, da derive
localiste o di difesa del profilo nazionale, l’esercizio dell’alternativa è essenziale.
Dovremo avere coraggio! Non basterà ricordare 70 anni di pace o citare la lungimiranza di
Spinelli e Schuman. Dovremo parlare di un’Europa federale e solidale e non di un’Europa

delle nazioni, dovremo spiegare come la logistica, la portualità, il futuro delle nostre imprese
e della nostra alta formazione passi attraverso un’Europa più forte e non più debole,
dovremmo dire che la nostra MacroRegione naturale è con la Carinzia, l’Istria e parte della
Slovenia, ed è questo che ci rende più forti nei rapporti con il Veneto e le altre regioni del
Nord, dovremo dire che la nostra piccola Regione ed il nostro piccolo Paese senza l’Europa
finirebbero schiacciati fra le potenze mondiali oggi in campo.
Dovremmo anche, e non è facile, chiedere un’Europa diversa, che non può essere solo dei
limiti e dei conti, ma deve essere capace finalmente di portare a fattor comune diritti e doveri,
da quelli dei lavoratori alla pressione fiscale, capace di capire che vicino alle scelte di
bilancio ci sono anche i necessari investimenti per il lavoro, le imprese, le protezioni sociali,
la redistribuzione del reddito ed un welfare europeo che regali le stesse opportunità di
partenza a tutti. Un’Europa che torni ad essere un sogno in cui credere e per cui impegnarsi.
Partirà anche il congresso nazionale e speriamo sia un confronto prima di tutto sulle
proposte, perché leadership e comunicazione sono importanti ma senza una proposta
alternativa chiara e condivisa rischiano di essere effimere: siamo in una fase difficile, di
consenso, ma anche di “innamoramento” verso i nuovi governanti, dobbiamo ridare forza e
passione alla nostra Comunità politica, fare un’opposizione incisiva senza però
accontentarci solo di smontare con le nostre competenze flat tax o reddito di cittadinanza,
dobbiamo mettere in campo una serie di proposte alternative, le nostre proposte! Di politica
economica e fiscale, di welfare, di visione del futuro che ridiano credibilità al nostro Partito.
Perché non è solo con la derisione delle proposte altrui che recupereremo chi ha
legittimamente deciso di affidare ad altre mani il governo del paese.
Partiamo a livello nazionale dalle proposte appena messe in campo per i giovani, le famiglie
e gli investimenti sui settori prioritari dell’ambiente e della manutenzione del territorio e,
insieme a chi ci crede, costruiamo prima di tutto un progetto capace di disegnare l’Italia del
futuro e nel contempo i motivi veri per cui votare PD.
Le scelte di questo governo sono sotto gli occhi di tutti, spaventano comparti produttivi e
mercati ma nello stesso tempo, non dobbiamo dimenticarlo, trovano consenso acritico in
larghe fasce della popolazione, come consenso continua a trovare la contrapposizione fra
il “male” dei burocrati italiani ed europei, la rigidità asettica dei conti ed il “bene” delle misure
per il popolo.
Spieghiamo quali sono le ricadute concrete per i cittadini e le famiglie delle scelte populiste,
confrontiamoci da subito con la “questione settentrionale” che sembra nascere forte dal
tessuto economico dei nostri territori dopo le scelte dell’attuale governo, usciamo dalla sola
logica debito/non debito per analizzare come vengono spese quelle risorse e proporre le
nostre alternative: per parlare del futuro dei nostri giovani, dei tanti che non vogliono sussidi
ma opportunità e merito, per siglare un patto virtuoso con il nostro tessuto produttivo che
accompagni crescita ed investimenti con un lavoro di qualità, per avviare quei percorsi di
semplificazione e sburocratizzazione forse ancor più attesi delle detrazioni ed anche perché
ogni scelta sul settore fiscale parta, ed in maniera condivisa, dall’assunzione che la
progressività, in un Paese in cui l’1% della popolazione detiene il 20% della ricchezza, è un
dovere imprescindibile.
E’ un impegno collettivo e non immediato, ma da subito è indispensabile individuare i cardini
su cui puntare che riguardano l’affermazione dei diritti e la sicurezza ed emancipazione delle
persone, le opportunità di evoluzione sociale ed economica per le famiglie e le imprese.
Dobbiamo ripartire dai nostri valori, quelli che ci tengono insieme ed hanno fatto nascere il
PD: noi siamo un Partito di centrosinistra, anche sui temi più difficili come quello

dell’immigrazione abbiamo fatto scelte importanti e non semplici per molti di noi, non sono
bastate e forse non sono state nemmeno percepite perché chi cavalca strumentalmente le
paure non ha limiti e sarà sempre più forte. Noi però non siamo quelli di “America first” o
“prima gli italiani”, il Pd o è quello delle parole di Don Turoldo “prima gli esseri umani” o non
è più il PD, vale lo stesso per i diritti individuali e per il rispetto delle regole.
Difendiamo senza se e senza ma la legalità, ma non abbiamo niente da condividere con il
Ministro Fontana e se una legge è razzista lo diciamo. Come non siamo disponibili a passi
indietro sui diritti individuali e su una reale parità di genere! Noi siamo questo, dobbiamo
rivendicare i nostri valori con forza anche quando pare difficile.
Nei nostri valori ci sono anche la solidarietà, le pari opportunità per tutti, certo il merito ma
anche l’attenzione per chi non ce la fa: non dobbiamo guardare con nostalgia agli strumenti
del passato ma non possiamo esimerci da trovare risposte nuove. Se non possiamo
accontentarci di affrontare le nuove sfide globali con gli estremi del liberismo assoluto o del
protezionismo della paura non possiamo nemmeno non dirci che gli ultimi anni hanno visto
un crescendo di diseguaglianza, di difficoltà nella redistribuzione del reddito, di
finanziarizzazione progressiva dell’economia, di crisi della rappresentanza ad ogni livello. In
sintesi una massa enorme di persone, a fronte di opportunità esistenti o raccontate, non ha
visto, se non in peggio, un cambiamento della propria condizione materiale.
L’identità di un partito non sono solo le riforme fatte, ma è l’insieme dei valori che propone,
dalla chiarezza delle scelte di governo, dalla capacità di incrociare e portare a sintesi i vari
sentimenti che pervadono una società, dalla reputazione delle persone che lo formano, da
una classe dirigente autorevole e diffusa: più netta è l’identità, più facile è la sua
comunicazione e trasmissione dei contenuti che la caratterizzano.
Come dice Veltroni “Chi sostiene il sovranismo in una società globale, chi postula una
società chiusa, chi si fa beffe del pensiero degli altri e lo demonizza, chi anima spiriti guerrieri
contro ogni minoranza, chi mette in discussione il valore della democrazia rappresentativa,
altro non fa che dare voce alle ragioni storiche della destra più estrema. Altro che populismo.
Qualcosa di molto più pericoloso”
Spetta a noi, interrogarci sulle ragioni e dare risposta a questo mutamento epocale che ha
investito l’Occidente, l’Europa e il nostro Paese, rendendo precario qualunque pensiero e
minando la fiducia sociale e collettiva nel futuro.
Nuove soluzioni in termini di protezione sociale e di lavoro qualificante sono temi che
dovranno contribuire a costruire un nuovo progetto socialdemocratico per il futuro. Se
pensiamo basti una migliore organizzazione o il cambiamento di qualche faccia, credo
andremo incontro ad amare sorprese. Così come non basta essere buoni e coraggiosi
amministratori perché i temi che orientano il consenso sono ben altri e sono quelli che
dobbiamo affrontare quando qualcuno pone la ferale domanda “perché dovrei votare PD?”.

LA REGIONE
Siamo stati buoni e coraggiosi amministratori. Significa che è andato tutto bene e solo il
vento internazionale ci ha spazzati via? Certo che no, abbiamo sicuramente commesso
errori di metodo e di comunicazione, ma anche alcuni errori di merito.
Permettetemi però di dire che abbiamo affrontato con responsabilità riforme e scelte
necessarie che nessuno toccava da anni, alcune ancor oggi dibattute, ma anche alcune
come Rilancimpresa, gli investimenti sulla sicurezza nelle nostre scuole, per la casa ed il
riuso, per la sostenibilità ambientale, per la crescita del biologico, per la diminuzione dei
costi della Politica che hanno trovato consenso pressoché unanime.
Eppure abbiamo perso, e nettamente: non possiamo evitare di chiederci perché, e
soprattutto come è stato possibile che il giudizio degli elettori sia così profondamente
cambiato rispetto a 5 anni fa.
In particolare dobbiamo chiederci se siano stati solo le scelte amministrative o la paura
dell’altro, degli immigrati, a spostare a destra l’asse del consenso, o se anche in questa
Regione l’humus che ha reso fertile il terreno non sia stata la paura del futuro per sé, per la
propria famiglia, per i propri figli, per i quali l’orizzonte sembra ogni giorno di più restringersi.
Insomma, c’è da chiedersi se una scelta politica così netta venga dalle scelte amministrative
o dalla percezione di insicurezza dettata dagli immigrati, oppure anche, e forse di più,
dall’annebbiamento del proprio orizzonte e dalla rassicurante difesa dell’esistente.
A volte abbiamo pensato che la velocità dell’azione amministrativa bastasse e fosse
sinonimo di qualità e questo ha fatto mancare un compiuto confronto non solo con i portatori
di interesse ma anche con i nostri organismi e con i nostri iscritti. Dobbiamo invece costruire
un rapporto Partito/eletti in cui il rapporto non sia solo informativo. I nostri Circoli, la nostra
Direzione devono assumere decisioni, chiarire la posizione del Partito sui singoli temi e
consegnarla, pur nel rispetto dell’autonomia, a chi ci rappresenta nelle Istituzioni. I nostri
iscritti, la nostra Comunità sono i primi che si confrontano con il territorio e devono sapere
di contare e di essere fondamentali anche nell’assunzione di proposte e decisioni.
Il Partito non può crescere e suscitare impegno e passione se la sua organizzazione è utile
solo per chi c’è già. Il ruolo del Partito come luogo di incontro, di relazione, di
compartecipazione alle decisioni, di confronto pubblico è la condizione per formare una
classe dirigente locale, capace di conoscere il territorio e di raccoglierne le istanze e le
tensioni, di avere contatto con le persone. Va superata una situazione in cui i Circoli si
aprono e si chiudono esclusivamente per fare le primarie, per decidere il consigliere
comunale o regionale, per assecondare una mozione o un’altra.
Ora a livello regionale la situazione è certamente difficile, il poco tempo passato dalle
elezioni, fa sì che tutto ciò che non va sia colpa di quelli di prima e ciò che funziona
ovviamente merito di chi ora governa. Il compito del gruppo consiliare è arduo ed in questa
fase dovrà continuare a fare un’opposizione costruttiva quando possibile, ma dura e senza
sconti tutte le volte che serve, perché anche da lì inizia l’alternativa.
10 assessori esterni che nei costi riportano il Consiglio a 60 componenti, 5 mesi di nulla
sostanziale se non dichiarazioni sui migranti stridono a confronto di un’esperienza che in
meno di tre ci aveva permesso di tagliare completamente i vitalizi ed i costi della politica,
destinare immediatamente 180 milioni € come fondo anticrisi per il nostro tessuto produttivo
ed avviare alcune riforme.
Non basterà però l’opposizione istituzionale, dobbiamo ricreare una comunità capace di
ascoltare, recepire il meglio delle proposte della società civile, dei nostri amministratori locali

e costruire un progetto alternativo. Guai a dare il senso che chiediamo solo un’opinione o
un beneplacito sulle nostre proposte, le idee vanno costruite assieme a tutti quelli che sono
disponibili. Dobbiamo far partire immediatamente i forum tematici, che non dovranno essere
i “nostri” forum, ma dovremo aprirli a tutti quelli che vogliono dare un contributo, perché oltre
ed essere un supporto all’attività istituzionale potranno, pur sapendo che il 2023 è lontano,
cominciare un‘elaborazione di proposte condivise, cominciare a costruire e disegnare un
progetto per la Regione del futuro.

COMUNITA’
La paura nasce nel momento in cui le certezze fondamentali dell’individuo vengono meno
perché le istituzioni e la collettività paiono non occuparsene più. La prima risposta che il PD
deve tornare a dare è l’impegno per le persone, la funzione pubblica di un Partito si sarebbe
detto in passato o il senso di una risposta collettiva. I cittadini possono anche non
condividere alcune nostre proposte ma devono sapere che ci impegniamo per loro, per i
loro diritti, per la possibilità di tutti di vivere dignitosamente con le proprie famiglie e
soprattutto di guardare al futuro con speranza. Far parte di una Comunità deve tornare ad
essere un valore.

SCUOLA FORMAZIONE UNIVERSITA’
I drammatici dati sulla dispersione scolastica e sulla percentuale di laureati rispetto agli altri
Paesi Europei segnano negativamente, ben più del PlL, le prospettive del nostro Paese. La
nostra Regione ha dati certamente più postivi ma non dobbiamo accontentarci proprio da
qui invece dobbiamo partire e rendere questo investimento centrale in ogni nostra proposta.
Il nostro sistema Universitario, i nostri centri di ricerca ma anche la qualità e specializzazione
delle nostre scuole sono la garanzia del nostro futuro, delle prospettive e della qualità del
lavoro dei nostri giovani: va aperta una riflessione vera e compiuta sulla regionalizzazione
della scuola, scevra da timori ma anche da superficialità, vanno resi ancor più
complementari i nostri Atenei, centri di ricerca e formazione, perché se sapremo presentare
il complesso della nostra offerta formativa non solo daremo maggiori opportunità ai nostri
giovani ma potremmo diventare ancor più quel polo di attrazione e riferimento internazionale
che meritiamo di essere.
Il futuro verso il quale la nostra società della conoscenza si sta dirigendo richiede alle
università ed a tutto il sistema dell’istruzione non solo le funzioni classiche di didattica,
ricerca e trasferimento, bensì anche un ruolo decisivo nei processi di crescita economica e
sociale.
I processi di creazione e di diffusione della conoscenza sono un fattore fondamentale non
solo per la crescita della produttività, e quindi del reddito, ma anche per il progresso civile e
sociale di un paese. La conoscenza, infatti è alla base della cultura delle persone e delle
organizzazioni, ed è sulla cultura che si fonda la democrazia.

ECONOMIA E LAVORO
Premiare chi crea lavoro di qualità e crede nel territorio, risorse straordinarie per il nostro
sistema di formazione/istruzione al fine di competere sui nuovi scenari economici e mondiali
e aggredire i “nuovi” mercati dell’economia green, delle filiere e del turismo. Sul cardine di
queste proposte dobbiamo costruire una visione strategica di lungo respiro che ci permetta

di disegnare le prospettive future della nostra Regione e la sua collocazione nel contesto
nazionale ed internazionale. Ora a livello regionale già si sentono le prime richieste di
concretezza dopo mesi di annunci e proposte strumentali, non un euro in più è arrivato da
Roma ed aspettiamo di vedere le ricadute del DEF sul sistema delle autonomie. Per questo
il Gruppo Regionale ha da subito messo in campo delle proposte: dall’Esenzione Irap a chi
assume a tempo indeterminato, crea lavoro di qualità e crede nel territorio, agli investimenti
sul riuso e sull’efficientamento energetico, fino ad una nuova stagione di risorse per i nostri
Comuni legati in primis alla sicurezza ambientale e sismica. Proposte che andranno
implementate ed inserite, grazie all’ascolto ed al lavoro di tutti, in una visione complessiva
che tratteggi il futuro della nostra Regione.
Tutto ciò significa anche una rinnovata attenzione per l’esistenza anche materiale delle
persone, per il problema del reddito, del lavoro e delle protezioni sociali verso cui si
concentrano le preoccupazioni quotidiane di larghe fasce della popolazione. Ancor più dopo
una crisi che ha fatto arretrare significativamente la competitività del nostro sistema
produttivo e dove il recupero dei livelli occupazionali pre-crisi non è scontato e, comunque,
si accompagna ad una faticosa ristrutturazione economica, con lavoratori espulsi dal mondo
del lavoro e di difficile riqualificazione, e molti giovani che cercano opportunità altrove.

LOGISTICA E SVILUPPO SOSTENIBILE
L’Europa non è solo una comunità politica e sociale, ma anche un’opportunità economica
irrinunciabile per la nostra Regione. L’asse nord-sud è la dorsale che fa del Friuli Venezia
Giulia il porto d’Europa con Trieste e Monfalcone, che va ora attrezzato perché l’intera
Regione ne sia parte e pronta a cogliere questa sfida. La Ciclovia AlpeAdria non rappresenta
solo un collegamento internazionale “slow and green”, ma ci indica una via verso uno
sviluppo infrastrutturale al servizio del paesaggio, della cultura, dell’ambiente e dei sapori.
La scelta stessa di un’agricoltura sostenibile e sempre più legata alla qualità dei suoi prodotti
e non alla quantità non è solo scelta ideale ma l’unica possibilità per dare il giusto reddito ai
nostri agricoltori ed un futuro al nostro territorio che non può e non deve competere con
agricolture massive.
ENTI LOCALI
L’Italia non è riuscita a chiudere le Province, mentre tutti gli altri Paesi Europei hanno
riformato profondamente il proprio sistema delle autonomie locali, riducendo drasticamente,
sul criterio di adeguatezza, il numero dei propri Comuni. Dobbiamo ricordarcelo sempre!
Come dobbiamo ricordarci che l’obiettivo è dare servizi migliori a cittadini, imprese e
territorio, non difendere poltrone o rendite di posizione. Affrontiamo laicamente le nuove
proposte dell’attuale maggioranza, consapevoli però che in una Regione di 1,2 milioni di
abitanti non servono altri enti elettivi, bastano la Regione e i Comuni. Partiamo da qui con i
nostri sindaci e amministratori locali, che sono i primi a sapere che servono collaborazioni
sovracomunali per garantire i servizi, ma che chiedono anche una Regione più leggera.
Funzioni e competenze dei nostri Comuni possono certo aumentare ma dobbiamo metterli
in grado di esercitarle pienamente. L’obiettivo di una Regione, certo policentrica ma unita,
sede della grande programmazione e dei Comuni luogo di programmazione e gestione va
mantenuto, ma sono necessari atti coerenti tra cui, senza dubbio, un potenziamento delle
risorse umane nei Comuni – l’ente locale più vicino ai cittadini – attraverso anche un
“dimagrimento” di quelle regionali ed intermedie.

SANITÀ
Seppur ora sembri che la nostra Sanità non sia affatto come disegnato dall’attuale
maggioranza sull’orlo del collasso, seppur preoccupi non in maniera ideologica ma nella
scelta delle priorità l’immediato riferimento al privato ed all’aumento tariffario, affronteremo
con serietà le nuove proposte, perché non serve ricordare a noi che su questi temi non si
giocano partite di parte, ma è sempre e comunque centrale l’interesse cittadini. Ad oggi pare
si parli molto più di contenitori che di contenuti. L’integrazione ospedale e territorio rimane
per noi un principio ed una scelta fondamentale e siamo convinti che i problemi si risolvono
guardando ai processi ed ai bisogni di salute dei cittadini non cambiando il numero di
dirigenti o primari.

PARTITO
“Ricreare armonia e rispettarsi” sono espressioni sentimentali belle da dire che lascerei da
parte, perché, molto concretamente, se ci faremo trovare ancora a perdere tempo e a farci
la guerra fra di noi nelle difficoltà che stiamo attraversando saranno i cittadini a darci un
messaggio chiaro e forse definitivo.
Abbiamo passato gli ultimi anni troppo spesso a fare “garette” fra di noi, ad autoincensare
la nostra democrazia interna e nel frattempo gli elettori, quelli della democrazia vera, ci
abbandonavano. Ciò non significa che non dobbiamo discutere, anzi se possibile più e
meglio di prima, abbiamo i nostri organismi per farlo! Servono direzioni regionali deliberanti
che prendano posizione chiara sui temi anche a livello regionale, iscritti che sentono
importante la loro militanza non solo per storia, sempre meno, ma perché le loro idee
contano, le loro proposte vengono ascoltate.
Perché qui vi è la seconda domanda cui spesso dobbiamo rispondere “Perché dovrei
iscrivermi?” La nostra struttura, i nostri circoli sono elemento fondamentale, è qualcosa che
oggi nessuno ha. Dobbiamo esserne orgogliosi e ripartire da lì ma proprio perché ne siamo
consapevoli dobbiamo anche dirci che chi ora governa non discute certo le sue scelte con
la base e non è certo la sua priorità fare riunioni sul territorio, eppure governano e prendono
i voti.
I nostri circoli, i nostri iscritti, la nostra comunità deve tornare ad essere un valore aggiunto,
ma dobbiamo metterli in condizione di esserlo, devono sentirsi parte di un progetto, devono
avere la “cassetta degli attrezzi” per spiegare ai cittadini proposte chiare e concrete.
Spero che presto, ad esempio, gli organismi dirigenti del nostro Partito tornino ad essere
scelti dagli iscritti e lo straordinario strumento di democrazia delle primarie serva per
scegliere i candidati negli organismi monocratici o nelle Istituzioni quando vi siano liste
bloccate come avviene in tutte le moderne democrazie perché davvero non si capisce
altrimenti perché uno dovrebbe iscriversi. Ma ai Circoli dobbiamo chiedere di essere il PD
sul territorio, ancor di più in questa fase difficile, abbiamo perso consenso ed elezioni, se
servono altre riunioni di analisi delle sconfitte facciamole ma ricordiamoci che poi abbiamo
118 Comuni al voto e seppur quasi sempre, data la natura dei Comuni, avremo liste civiche,
non possiamo perdere altri riferimenti sui territori, perché è anche e soprattutto dai nostri
amministratori, da chi conosce e si impegna sul territorio ed è stato premiato dai cittadini,
che dobbiamo ripartire.
Abbiamo bisogno di formazione, ed il Partito deve tornare ad essere anche servizio:
abbiamo visto come nuovi strumenti comunicativi siano fondamentali, possiamo guardarli
con sospetto ma non possiamo rinunciarvi e dobbiamo imparare ad usarli, abbiamo giovani

amministratori che con la militanza o solo come riferimento guardano a noi, obiettivo
fondamentale è anche aiutarli a crescere, perché vogliamo una nuova classe dirigente, ma
non presa a caso, selezionata per la sua competenza e per la sua capacità di rappresentare
problemi ed istanze del territorio. Il Partito, le nostre sedi, pur nelle difficoltà, devono essere
aperte a tutti, dobbiamo tornare a proporre corsi di formazione che ci aiutino ad affrontare
le sempre nuove competenze richieste nell’agire amministrativo e politico.
Dobbiamo anche affrontare le nuove sfide di una rappresentanza profondamente cambiata
negli ultimi anni. Forse è il momento di trovare un sistema, un nuovo metodo o nuovi
strumenti per tornare a mettere nelle mani dei cittadini una parte della rappresentanza che
un tempo era lasciata solo agli eletti e agli organismi dirigenti. Forse tra il referendum su
tutti i temi e la piattaforma Rousseau dei 5 Stelle, esistono metodologie più serie per
riportare più vicino a noi gli elettori e i simpatizzanti.

PARTITO AUTONOMO
Si parla molto di questo e se ne parla anche in altre Regioni, credo che spesso però si parta
dalla conclusione e non dal doveroso inizio; con il rischio che ciò diventi autoreferenziale e
assolutamente indifferente per i cittadini. Per un partito autonomo serve credere
nell’autonomia dei territori, serve rilanciare i temi del federalismo e della sussidiarietà
verticale, ormai scomparsi dall’agenda politica. Rilanciamoli chiediamo scelte importanti in
tal senso al nostro Partito e nell’azione politica, chiediamo che le Istituzioni più vicine al
cittadino tornino a contare di più, che cessi l’emorragia di risorse dai territori verso lo stato
centrale. Farlo in questa Regione per la sua storia, per le sue identità linguistiche e non solo,
ed anche per la sua collocazione geografica e le sue prospettive dovrebbe essere
fondamentale quanto scontato. Sappiamo che spesso non è così ma i temi del federalismo,
dell’autonomia e dell’autogoverno devono tornare ad essere centrali ed il resto sarà solo
conseguenza.
Allo stesso tempo dobbiamo essere in grado di ridare slancio alla nostra specialità ed
autonomia, costantemente e trasversalmente sotto attacco, certo rivendicando le sue origini
storiche e culturali ma anche criticità ed opportunità con cui una Regione di confine come la
nostra deve confrontarsi. Non è attraverso “alleanze” con il Veneto ma con visioni e
prospettive necessariamente Europee che la nostra Regione e la sua specialità sarà più
forte. Non è con richieste alla spicciolata di nuove competenze, più elemento mediatico che
altro, che ci renderemo credibili in una reale trattativa con lo Stato centrale, servono invece
priorità chiare e soprattutto una visione complessiva di cosa vogliamo e di cosa siamo in
grado di gestire meglio e più vicino ai nostri cittadini.

CENTROSINISTRA
I dati elettorali sono sotto gli occhi di tutti ed hanno segnato la sconfitta di un’intera proposta
politica ben più ampia del PD. Ora possiamo scegliere se attardarci nella richiesta di abiure,
nei processi o nei rimpianti postumi o provare a guardare avanti a capire che l’avversario è
altrove. Il nostro Partito ha ancora una comunità importante, molte persone, l’ho verificato
stando sul territorio, erano critiche, molte non hanno votato ma ora si chiedono se esiste
una reale alternativa a ciò che stanno vedendo. Sono convinto che la nostra Comunità sia
fondamentale per ripartire, ed è irresponsabile chi pensa ad una sua dissoluzione, ma
dobbiamo dirci con franchezza che non bastiamo a noi stessi e non è mera questione di
sistemi elettorali. Dobbiamo con generosità essere attori della costruzione di un’alternativa
più ampia di noi, capace di mobilitare le energie migliori della società, l’impegno di chiunque

voglia costruire un progetto ed una proposta nuova per il futuro dell’Europa, dell’Italia e della
nostra Regione. Dobbiamo sederci con chiunque lo voglia, non è più tempo di condannare
scelte diverse, come spero non sia più tempo di attaccare quelli che ci sono più vicini, non
servirà rinchiuderci in vecchie famiglie o provenienze, la situazione chiede a tutti un
supplemento di generosità, chiede a tutti di capire che la posta in gioco è il futuro dell’intero
centrosinistra e del nostro Paese. Serve confrontarsi su errori e su visioni diverse?
facciamolo nei luoghi opportuni, facciamolo in maniera aspra se serve, ma poi proviamo a
costruire una proposta alternativa che parli alle persone e che oggi ha bisogno della
passione, competenza ed impegno di tutti.
Il PD ha unito diverse culture politiche. Quel progetto non è fallito ed anzi quello spirito può
essere più utile ed attuale che mai. Il nostro congresso però è occasione per rinnovare un
gruppo dirigente, ma soprattutto dovrà essere l’occasione per parlare ai cittadini, agli uomini
e donne che ci vivono accanto.
Accettare ruoli in questo momento, e vale a tutti i livelli, è prima di tutto un atto di
responsabilità verso la propria Comunità politica. Permettetemi questa chiosa personale nel
mio caso ad una Comunità che mi ha dato tanto, non solo come opportunità ma anche come
formazione e crescita di competenze. Spero che questo congresso riparta da ciò; dal Noi e
non dall’Io, dalla nostra Comunità, che certo ha bisogno di chi assume ruoli ma che sa che
questo è prima di tutto una sua espressione.
Sbaglia chi pensa di vedere in questo congresso occasioni di riscatto verso qualcuno, pensa
ancora a rivincite o ad affrontare i mesi che ci attendono ancora con la provenienza da
“vecchie famiglie” o con appartenenze ad un territorio piuttosto che ad un altro.
Significherebbe che non abbiamo chiara la difficoltà della situazione che stiamo vivendo.
Non ci sono, oggi, rendite di posizione da guadagnare, ruoli o pesi da rivendicare ma solo
un grande lavoro da affrontare.
Queste stesse righe devono essere implementate ed arricchite da subito con il contributo di
tutti, con il lavoro fatto dalla Commissione Congressuale e dai territori. Da domani ci
attendono Comuni al voto ed elezioni europee, ci attende l’onere di un’opposizione forte
mentre costruiamo un’alternativa e questo immenso lavoro potremo farlo solo con un’intera
Comunità che ci crede, che invece della dimensione solo critica ritrova il gusto e la passione
per il confronto, il progetto e la proposta Politica. Una Comunità orgogliosa e proprio per
questo capace di ascoltare ed aprirsi a chiunque vogli darci una mano per costruire una
alternativa reale e credibile per il Paese, la nostra Regione e soprattutto per i cittadini.

nel percorso del PD Provinciale “IDEE A CONGRESSO” diamo spazio alle proposte pervenute alla Segreteria Provinciale (di Paolo Coppola)

L’umiltà e il coraggio

Per il Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia del 2023

Democrazia e libertà non sono scontate

Sono doni che abbiamo ricevuto da chi ha lottato contro il fascismo, la violenza e la prepotenza più di settanta anni fa. Sono doni preziosi e fragili che è nostro compito preservare e rafforzare.

Abbiamo bisogno di partiti  La Democrazia ha bisogno di partiti autorevoli (non autoritari), forti e trasparenti, perché chi aspira a  rappresentare il popolo deve essere formato e selezionato e perché chi vuole partecipare alla vita  democratica deve poter avere fiducia nelle istituzioni e deve sentire di poter dare il suo contributo.

Vogliamo che il Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia sia un luogo in cui i cittadini di

centrosinistra sentano di poter contribuire alla democrazia. Vogliamo che l’attività politica nel nostro partito sia di approfondimento e discussione, confronto ed elaborazione, per capire e risolvere i  problemi e le sfide che abbiamo davanti.

Vogliamo un partito che sia capace, con umiltà e senza cercare scuse, di imparare dai propri errori e che abbia l’intelligenza di non ripeterli.

Vogliamo un partito che non dimentichi la sua storia, ma che abbia la consapevolezza che il suo compito è costruire il futuro.

Vogliamo un partito che sia credibile, di cui ci si possa fidare, aperto al contributo dei giovani, attento ai bisogni dei più deboli, capace di aiutare e di guidare la nostra regione. Un partito che sia speranza e traino.

I cittadini di centrosinistra del Friuli Venezia Giulia hanno il diritto di poter guardare con fiducia ad una forza politica seria e responsabile.

Di cosa ha bisogno il PD del FVG Unità, innanzitutto, che vuol dire mettere gli interessi dei cittadini davanti alle beghe personali.

Umiltà, come metodo, che significa confronto continuo tra amministratori, iscritti e cittadini, ascolto vero, capacità di mettere in dubbio le proprie convinzioni, per capire e poter migliorare. Difendere la comunità, prima e più di quanto si sia disposti a difendere le proprie scelte passate.

Coraggio di affrontare i propri problemi e le mancanze, di dire no a chi vede la politica come occasione di carriera personale e non come servizio alla collettività. Coraggio di rinunciare alle clientele e alle piccole rendite di potere. Coraggio di riconoscere il merito. Coraggio di cambiare atteggiamenti, metodi e abitudini, prima ancora che persone o nomi. Non è la “rottamazione”, i fatti lo dimostrano, che può rendere il nostro partito più forte, ma nemmeno l’immobilismo o il finto cambiar tutto per non cambiare niente. Non sono le persone che vanno rottamate, ma l’attaccamento al potere, la disonestà intellettuale, la mediocrità che scalza il merito.

Abbiamo quattro anni di lavoro davanti, per cambiare il partito regionale, con l’ambizione di essere d’esempio e di ispirazione anche per il livello nazionale. La specialità del Friuli Venezia Giulia è anche questo: capacità di sperimentare, di mostrare la via.

Nel 2023 avremo l’onere di proporre ai cittadini della nostra regione un’alternativa alla politica della Lega e del centrodestra e non sarà facile. Chi ci avrà governato fino ad allora non sembra interessato ad amministrare. Allo scopo di ottenere il potere si sono totalmente spesi nella campagna elettorale, vincendola e guadagnandosi le tanto ambite poltrone, ma quelle non sono poltrone da cui limitarsi a twittare o lanciare comunicati stampa, ma posizioni privilegiate da cui amministrare una Regione e da cui affrontare una serie di innumerevoli questioni complesse.

Gli attuali pubblici decisori non sanno cosa fare, se non alternare a qualche sporadico annuncio una serie di piccole azioni di clientelismo.

Noi proporremo un modo di amministrare differente fatto di ascolto, partecipazione e impegno delle migliori risorse, con attenzione costante e dando priorità ai più deboli. Convintamente europeisti e progressisti.

Dobbiamo ricostruire il partito, renderlo più moderno nell’organizzazione, utilizzando meglio il web e i social network, integrando questi ultimi con l’attività dei circoli. Dobbiamo rafforzare la collaborazione tra i circoli e il dialogo con le realtà territoriali.

Il Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia deve condividere le buone pratiche, conoscere e

valorizzare i propri iscritti, essere permeabile alle nuove energie e nuove idee. Va istituita la scuola di politica e amministrazione e vanno rinnovati i forum rafforzandone l’autorevolezza.

Il rapporto con il gruppo regionale deve essere costante e paritario e i nostri amministratori a tutti i

livelli devono poter contare su un partito vivo, non solo bacino di voti o braccia e gambe per la

campagna elettorale, ma soprattutto luogo di conoscenza e di talenti, di confronto e di proposta.

La voce del Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia deve essere unitaria e ascoltata anche a livello nazionale.

Nei prossimi quattro anni assisteremo a profondi cambiamenti tecnologici, economici e sociali e daremo il nostro contributo per costruire un futuro migliore, con la nostra visione, le nostre competenze e approcci concreti. Inizieremo tra pochi mesi con l’appuntamento elettorale europeo in cui il Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia si schiererà senza tentennamenti a favore del progetto politico di un’Europa più democratica.

No al nazionalismo, alla chiusura, al sovranismo.

I veri interessi dei cittadini italiani sono l’apertura, la collaborazione, la solidarietà, il confronto culturale, gli Stati Uniti d’Europa.

Sul fronte amministrativo rafforzeremo la collaborazione e la rete degli amministratori del

centrosinistra, evitando il più possibile di inquinare il livello amministrativo locale con polemiche

politiche di livello nazionale. Il recupero di credibilità del Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia passerà per la qualità dei suoi amministratori locali, dalla loro capacità di collaborare, ascoltare e mediare per risolvere i problemi nell’interesse della loro comunità.

Il Partito Democratico ha subìto anche nella nostra regione una lunga e dolorosa serie di sconfitte, ma noi conosciamo il cuore dei militanti del nostro Partito, la loro passione e la generosità e siamo certi che    con umiltà e coraggio torneremo a meritare la fiducia dei cittadini del Friuli Venezia Giulia e a guidare la nostra Regione!

Quattro cose da fare

Il partito che costruiremo insieme farà sostanzialmente 4 cose:

1) selezione di classe dirigente;

2) formazione di classe dirigente;

3) elaborazione di proposta politica;

4) raccordo tra elettori ed eletti.

Per fare questo sono necessarie delle azioni coerenti. Non servono miracoli o superpoteri, ma è

necessario avere chiari gli obiettivi e lavorare con metodo e determinazione su un periodo medio-lungo.

Abbiamo quattro anni davanti e non dobbiamo sprecare tempo.

Per poter fare selezione è necessario avere un partito aperto e inclusivo, che accolga le persone che  hanno voglia di impegnarsi. Non è possibile fare selezione di qualità se il bacino di coloro che militano nel partito rimane ristretto sempre ai soliti. Il partito deve costantemente occuparsi della sua  attrattività, deve curare il modo in cui entra in contatto con nuove energie, soprattutto giovani, deve domandarsi costantemente come raggiungere e ispirare le tante persone con senso civico che vivono nel suo territorio. Un partito concepito come accozzaglia di piccoli comitati elettorali, con i circoli a supporto esclusivo del capobastone locale è incompatibile con la selezione di classe dirigente, perché è chiuso e ha paura delle persone di qualità. Il PD del FVG che costruiremo nei prossimi quattro anni sarà un luogo in cui le persone possano far crescere i loro desideri e le loro ambizioni di poter contribuire al bene collettivo.

Attirare persone nuove e di qualità non basta, perché amministrare e fare politica nell’interesse dei

cittadini è un’arte che va appresa. Per questo il partito sarà uno strumento di formazione, attraverso la “gavetta” amministrativa e politica, allenando alla democrazia, al confronto, al rispetto delle posizioni altrui e alla ricerca di sintesi. Il partito aiuterà i neo-amministratori, non li lascerà soli ad “arrangiarsi”, e la conoscenza ed esperienza sarà condivisa e messa a fattor comune. La formazione della classe dirigente diventerà una componente strutturale che va dalla ricognizione annuale dei bisogni formativi fino alla erogazione vera e propria di corsi di base e di approfondimento sia politico sia amministrativo.

Selezione e formazione di classe dirigente sono un prerequisito all’elaborazione della proposta politica. I forum o i gruppi tematici sono un ottimo strumento, ma devono essere fatti funzionare. Il o la responsabile regionale di un determinato tema sarà una persona con competenza e peso politico riconosciuto e avrà una vera delega piena a rappresentare il partito su quella tematica di modo che abbia anche la responsabilità di definire una linea, in accordo con la segreteria, che, nei casi di maggiore impatto politico, possa essere votata dalla direzione.

Il PD del FVG che costruiremo dovrà costantemente elaborare la proposta politica in un continuo dialogo con i cittadini, le associazioni, gli altri soggetti politici e, in generale, con i portatori di interesse, in una  rapporto che non dovrà essere egemonico. Il PD parteciperà a tavoli di confronto e gruppi di lavoro, anche organizzati da altri soggetti, con l’umiltà di saper ascoltare e di poter dare un contributo.

Parteciperemo e ci faremo promotori di processi di collaborazione senza la pretesa di guidare, ma pronti ad aiutare il raggiungimento degli obiettivi decisi insieme.

Infine il partito che costruiremo agevolerà il rapporto tra i suoi eletti e gli elettori, in entrambe le

direzioni. Il PD sarà orgoglioso dei suoi eletti, frutto del proprio lavoro di selezione e formazione, e gli eletti del PD saranno orgogliosi della loro comunità, rispettando il lavoro di elaborazione politica fatto  con il territorio, ascoltando le critiche e le istanze, mantenendo un contatto costante per poter comunicare efficacemente il lavoro svolto e per raccogliere le sollecitazioni. Il PD che costruiremo non avrà timore del confronto, anche aspro, tra base e dirigenza, ma i “panni sporchi vanno lavati in casa” e dopo il confronto il partito dovrà compattarsi intorno ai suoi rappresentanti. Basta personalismi sui social e sui media.

Un partito a rete e non a piramide

Cambieremo la struttura del Partito. Nel 2019 non ha più senso una struttura gerarchica.

Il mondo è cambiato, anche grazie a Internet, e abbiamo imparato che la chiave del progresso sta nella collaborazione. Il PD del FVG valorizzerà il rapporto tra pari, lo scambio di pratiche, la sperimentazione di nuove forme di inclusione.

Il PD sarà un partito a rete che usa la Rete. Non esiste una divisione netta tra attività on-line e sul

territorio e l’azione del PD integrerà i due aspetti in modo da migliorare partecipazione e

comunicazione.

Vogliamo sperimentare, valorizzando la natura federale del PD e chiedendo per il PD del FVG uno

statuto autonomo, che riconosca la specialità della nostra Regione e ci permetta di essere laboratorio anche per il partito nazionale.

Anche il voto online, realizzato con professionalità e usato solo nei casi in cui sono previste votazioni palesi, potrà essere uno strumento da usare per aumentare la partecipazione e la collaborazione.

Sperimenteremo, all’interno degli organi del partito, forme di democrazia liquida in cui chi ha diritto di voto può decidere di delegare un altro su una determinata materia o per un determinato periodo di tempo, in modo da aumentare la partecipazione e la competenza degli organismi, pur rispettando il principio democratico.

Fare opposizione: un partito per la solidarietà, contro il nazionalismo

Crediamo nell’Europa dei popoli, non burocratica, ma democratica e siamo convinti che per curare gli interessi degli italiani e, in particolare, degli abitanti del Friuli Venezia Giulia sia necessario rafforzare i rapporti di amicizia e collaborazione con gli altri Paesi.

Il nazionalismo è una reazione di chiusura dettata dalla paura che di certo non risolve i problemi, ma li aggrava. La tutela degli interessi dei lavoratori e delle fasce deboli della popolazione va perseguita a livello europeo tramite la collaborazione, non la competizione: per questo motivo il PD del FVG nei  prossimi anni dovrà rafforzare i rapporti con i partiti di centro sinistra della Slovenia e dell’Austria.

La solidarietà sarà il nostro primo obiettivo. La guida è il secondo comma dell’articolo 3 della nostra Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,  limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Solidarietà nei confronti di chi parte in svantaggio rispetto agli altri. Tornare a dare voce e

rappresentanza, oltre che speranza, a chi non l’ha avuta, ma anche solidarietà nei confronti di chi ancora non è nato, e quindi attenzione all’ambiente e alla sostenibilità delle nostre azioni, pur continuando ad abbracciare il progresso puntando su cultura, educazione, formazione e ricerca.

Paolo Coppola candidato segretario regionale

PD Circolo San Pier d’Isonzo

Un mondo di persone

Dobbiamo usare parole semplici per definire cosa siamo e cosa vogliamo essere,
perché se è vero che la società è complessa e richiede risposte altrettanto articolate,
è altrettanto vero che le idee di dove andare e di come andarci devono essere
chiare.
In termini moderni dove andare si chiama “Vision”, come andarci si chiama
“Mission”.
Noi preferiamo chiamarlo solo bisogno di avere un “Orizzonte”, qualcosa a cui
tendere, qualcosa per cui vale la pena impegnarsi, qualcosa che risponda, o che tenti
di farlo, ai molti perché della nostra esistenza, qualcosa che dia un senso a tutto
questo. In più va detto che il bello dell’orizzonte è proprio la sua vaghezza, il non
essere definito, la sua permanente flessibilità e al contempo la sua concreta
esistenza, perché c’è, si vede, ma in una sfera è sempre infinito.
Ricordate la famosa frase di Kennedy sul PIL? Lasciamo pur stare una buona dose di
retorica in quella frase, ma una cosa è certa, la vita delle persone non può essere
misurata solo dal denaro.

Società libera e aperta
Perché siamo di sinistra? Perché vogliamo costruire una società libera e aperta.
Libera, perché solo in una società libera gli individui sono liberi e possono avere pari
opportunità.
Aperta, perché siamo contro lo sfruttamento delle persone da parte di altre persone
in nome del profitto.
Lo strumento per farlo è il sistema democratico, parlamentare e rappresentativo. Il
resto è solo potere in mano a pochi, spesso molto ricchi. Di solito chi attacca le
istituzioni democratiche lo fa solo per farsi meglio gli affari propri. Il che non vuol
dire che le istituzioni democratiche non possano essere migliorate, ma con
l’obiettivo di farle più forti e non di farle più deboli.
I Social network non rappresentano uno strumento di società libera e aperta, non
ora almeno con queste regole. Essi sono facilmente manipolabili, e spesso sono solo
lo strumento di campagne di opinioni costruite su menzogne, denigrazioni e

intimidazioni. È un Far West, non basta l’educazione e non si può starne fuori, ci
serve Tex Willer che colpisca i cattivi.
L’opposto di una società libera e aperta è una caserma, dove muore lo stato di
diritto. Qualcuno lo chiama Medioevo, secondo noi con una certa forzatura, ma
rende chiara l’idea di una società xenofoba dove i rapporti umani sono sostituiti
dalla appartenenza al clan, alla tribù, e dove i diritti individuali sono solo un
impaccio alla forza della tribù nei confronti delle altre tribù.
Loro dicono “prima gli italiani”, noi diciamo “prima le persone”.
Loro dicono “padroni a casa nostra”, noi diciamo “la città è di tutti”.
Loro dicono “il nostro capitano”, noi diciamo “la nostra democrazia”.
Questo è lo scontro. A questo punto qualcuno si chiederà se al PD serva più la
proposta o la protesta. Domanda inutile, a questo punto serve tutto, ma veramente
tutto, ma soprattutto serve una nuova rotta, verso una società libera e aperta.

Europa: cose già dette e parole perse
Ma perché è così forte questa cultura del recinto, al punto tale da influenzare anche
persone che si definivano, e si definiscono ancora, progressiste?
Rileggendo quanto già scritto in passato riprendiamo un concetto che ci è caro e di
cui siamo convinti: la globalizzazione con annessa perdita di centralità del bacino del
Mediterraneo, le continue guerre e disuguaglianze che producono morte e flussi
migratori inediti, la rivoluzione Internet con la disponibilità immensa di banche dati
alla portata di tutti e infine una crisi economica interminabile hanno logorato l’idea
di Europa e messo in discussione molte certezze su cui si basava il nostro concetto di
civiltà.
Qualcuno dirà, è il mondo che cambia bellezza. Si, ma l’Europa e le sue istituzioni si
sono trovate di colpo impreparate, deboli e impaurite, al punto tale di mettere in
discussione lo stesso sogno europeo. Niente di buono sotto il sole ed è quindi
dall’idea di Europa che bisogna ripartire.
Il PD si è identificato da sempre con il sogno europeo, metafora di una società più
libera e aperta, di una società in pace e non in guerra.
L’Europa dei nostri sogni però ha cominciato a morire con la crisi greca, sempre
meno occasione e sempre di più imposizione.

Oggi gli Stati Uniti d’Europa sono lontanissimi, pur in presenza di una mole enorme
di legislazione europea, molte volte vincolante. Bisogna ripartire da una Europa
sociale, perché come disse Habermas “il welfare europeo è stato l’unica e la più
grande riforma socialdemocratica e popolare”.
È il sociale dunque la nuova frontiera. È attorno al sociale che si può e si deve
costruire un nuovo sogno europeo.
Deve far pensare che la politica del recinto e delle piccole patrie trova il consenso
delle parti più deboli della popolazione, che si sente semplicemente abbandonata se
non perseguitata dalle politiche di bilancio e monetarie. Se qualcuno tiene in
ostaggio la tua vita, è naturale che cerchi di difenderti, e la tribù è la cosa più a
portata di mano. Per farlo abbiamo bisogno di una Europa federale.
Non stiamo parlando del terzo mondo. Con tutto rispetto per i BRICS e la loro
crescita, l’Europa resta una delle zone nel pianeta dove si vive meglio. Il problema è
che il suo modello non è più espansivo. Non siamo più noi a tracciare il solco, ma
seguiamo se va bene.
Il PD quindi deve dire, Europa si ma non così. Il PD deve allearsi in Europa con chi ha
una visione progressista del futuro e proporre grandi riforme strutturali sociali, che
creino sviluppo e soprattutto coesione sociale. Non è solo la partita dei flussi
migratori, ma quella del sistema previdenziale, del modello di assistenza, dei diritti
civili, delle tutele nel mercato del lavoro, della guerra alla criminalità organizzata.
Parole perse e disattese, inseguendo politiche monetarie estranee alla nostra vita
quotidiana.
L’Europa del dopoguerra è nata dal Piano Marshall, che era tutto tranne una regola
bancaria. L’Europa della caduta del muro, è rinata con uno sforzo comune incurante
dei soldi. Oggi l’Europa ha bisogno di un nuovo Piano Marshall sociale, per ritornare
a essere nella mente dei suoi cittadini La Comunità Europea a cui appartenere.
In questo senso possiamo dire che il PD deve essere un partito europeo, e
aggiungiamo social-europeo. Oggi invece siamo un partito nazionale, e aggiungiamo
poco sociale. Qui si apre un mondo. Il PSE è sulla carta, motore del nulla.
Non diciamo “proletari di tutto il mondo unitevi”, ma quasi.

Federalismo: il sogno di Darko Bratina
Il contrario del centralismo è il federalismo. Chissà perché adesso non è più di moda,
eppure è un sistema che funziona, gli USA e la Germania lo stanno a dimostrare. Il
federalismo permette di esser allo stesso tempo padroni a casa e nostra e parte di
una società aperta a tutti. Va detto che noi non abbiamo una cultura federalista,
perché il nostro è un Paese nato dai Comuni, quindi dai campanili. Ma una cosa è
certa, proporre e continuare a proporre un sistema centralistico oggi è come
pensare di vivere nel secolo scorso. Il sistema dei poteri, Europa, Nazioni, Territorio
è da sempre legato da un conflitto di fondo: da un lato più Europa e più Territorio,
dall’altro più Nazioni e meno Europa e meno Territorio.
Va detto anche che il concetto di centralismo e di nazionalismo, oltre a camminare a
braccetto, implicano anche quello di statalismo che rappresenta il braccio armato di
tale politica. Lo Stato da, lo Stato toglie.
L’Italia è purtroppo prigioniera di una idea nostalgica di Nazione del ‘800.
Il federalismo non è solo quindi in una società liquida la soluzione migliore per
l’Europa, ma lo è anche per l’Italia e per la forma partito del PD. La forma partito,
infatti, è da sempre uno specchio della forma istituzionale, a maggior ragione in FVG
che è una Regione autonoma. Qui si può scrivere un libro. Basta dire che da sempre
nel PCI PDS DS PD e vale anche per gli altri percorsi, esiste una enorme differenza
nei gruppi dirigenti tra chi “va a Roma” e chi “sta a Roma”, e con questo abbiamo
detto tutto.
L’autonomia del PD regionale avrebbe due grandi conseguenze di prospettiva, la
prima che si potrebbe lavorare per una più forte autonomia della Regione, la
seconda che si potrebbe lavorare per costruire legami europei istituzionali e/o di
partito con molte realtà oltre confine. Il che non farebbe male, visto cosa succede ai
nostri confini.
Una volta Darko Bratina ricordava a tutti che l’Europa non è una massa indistinta ma
è fatta di migliaia di “minoranze” e di territori che sono la vera anima dell’Europa
stessa e del nostro sogno. Dobbiamo riappropriarci di quel sogno.
Un partito federale poi ha anche altre conseguenze, non banali. La prima che
potrebbe generare un gruppo dirigente degno di questo nome e non figlio di
mozioni che sempre (non quasi sempre) vengono calate dall’alto e per natura sono
slegate dal vissuto. La seconda, non meno importante e diremmo forse decisiva, è il
rapporto nuovo che inevitabilmente si andrebbe a creare con il mondo delle liste
civiche. Qui merita un approfondimento.

Il rapporto attuale del PD con le liste civiche è a dir poco surreale. Noi vogliamo liste
civiche che assomiglino a noi, praticamente l’ideale per noi sarebbe figliarle. Qui
bisogna cambiare totalmente registro. Le liste civiche sono civiche e quasi sempre la
pensano diversamente da noi. Sono espressione di emozioni e stati d’animo, di
battaglie precise, di ambizioni precise. Spesso sono precarie. Spesso sono
episodiche. Quindi ciò che deve cambiare è il nostro rapporto con loro. Una
coalizione non si fa se noi siamo l’ombelico del mondo a cui tutti devono tendere,
ma si fa se la coalizione è un autobus nel quale ognuno porta la sua forza e le sue
idee. In due parole per parlare in maniera nuova alle liste civiche dobbiamo essere
più un partito coalizione e meno gli unti del Signore.
Per farlo dobbiamo essere un partito del territorio, autonomo. Noi stessi una lista
civica.
Un partito provinciale
Ogni livello di organizzazione politica viene definita almeno da due parametri
indispensabili: il progetto e l’organizzazione, altrimenti e semplicemente non serve.
IL PROGETTO: un partito che vuole continuare a chiamarsi provinciale e che fa
riferimento ad un territorio e non all’Ente Provincia che non esiste più, ha bisogno di
un progetto provinciale. Bisogna tornare a pensare ed a elaborare politiche
territoriali provinciali. Oggi non è così. La scomparsa della Provincia ha lasciato un
vuoto di elaborazione, Comuni e circoli si sono rintanati nel proprio orticello. Il lutto
va elaborato e superato: ci deve essere una politica provinciale anche senza la
Provincia.
L’ORGANIZZAZIONE deve essere conseguente, con una Segreteria Provinciale che si
riunisce settimanalmente e che opera come una vera e propria giunta provinciale,
con incarichi chiari e netti, responsabilità precise e riconoscibilità dei suoi
componenti. Se un circolo vuole approfondire il tema degli ospedali, ci deve essere
un responsabile provinciale della sanità, che avrà fatto un suo gruppo e potrà
aiutare il circolo stesso. Questo vale anche per il lavoro, l’ambiente, le opere
pubbliche, gli enti locali, la cultura, lo sport, l’istruzione e via di questo passo. Figure
importanti, oltre ovviamente al segretario provinciale, diventano quella della
organizzazione, quella della comunicazione e il tesoriere: un vero e proprio staff del
segretario. Lo scontro è durissimo perché in gioco è la democrazia e il futuro
dell’Italia, abbiamo bisogno di un partito che regga lo scontro. Non ci serve una
segreteria provinciale pletorica fatta con il bilancino dei territori, ci serve una forte e
autorevole cabina di regia.

Riformismo: chissà perché
Chissà perché ogni volta che si parla di riforme, c’è qualcuno nel PD che ci tiene a
precisare che le riforme si devono fare anche se impopolari. Abbiamo sempre
pensato che questo sia un ossimoro.
Infatti, a che servono le riforme? A far vivere meglio, quindi perché dovrebbero
essere impopolari? In quella affermazione c’è implicitamente un giudizio di merito
sul popolo (passateci il termine generico), ovvero che se le cose vanno male è colpa
del popolo. Quindi il popolo è il nemico, ignorante, infantile e incapace di sapere
cosa è bene per lui o no. Ecco in due parole cos’è la nostra tanto declamata
supponenza. Non è una questione psicologica, e che il PD si è fatto carico di
“salvare” l’Italia più che di rappresentarla, e per farlo abbiamo fatto prevalere
l’aspetto tecnico a quello politico, che è l’esatto opposto di quello che stanno
facendo Lega e 5S, ma una via di mezzo non è possibile?
La politica non è solo competenza, per quella ci sono i Dirigenti anche ben pagati.
La politica non è solo titoli di studio e curriculum, in una democrazia anche un
povero può governare soprattutto se, come avviene in Italia, il cosiddetto ascensore
sociale è bloccato.
La politica è prima di tutto rappresentanza. Punto.
Quindi invece di sparare fregnacce sulle riforme obbligatoriamente impopolari,
chiediamoci quale vuole essere il verso di queste riforme nel mondo nuovo.
Di certo una parola chiave: biodiversità. Sia sociale e sia ambientale:
 una società per tutti perché la diversità è una ricchezza e perché il sociale
rappresenta la nuova frontiera sia occupazionale e identitaria dove nessuno
deve essere lasciato solo;
 un nuovo modello di sviluppo eco sostenibile, perché il mondo è uno solo ed è
proprio li che crescono i lavori più qualificanti, dove il nostro Paese può dire
molto.
Di certo non sfruttamento su altre persone.
Di certo un buon lavoro per tutti, perché la nostra società è basata sul lavoro e non
sul ricatto del lavoro.
Di certo diritti civili per tutti e pari opportunità per tutti.
Di certo cultura e istruzione, perché è il più grande investimento che possiamo fare.

Di certo innovazione, tanta tanta innovazione.
Di certo conti a posto e tagli ai privilegi e alla corruzione.
Di certo territori forti, perché il territorio non è il problema ma spesso la soluzione
del problema.
Di certo una nuova forma Stato e una nuova Europa sociale.
Poche certezze ma forti.

PD: una questione personale
Ne esce un PD popolare, riformista per il nostro futuro, federalista, social-europeo.
Un PD che include e non esclude. Una politica delle alleanze aperta e rispettosa di
tutti i partners. Alleanza popolare? Alleanza democratica? Nuovo centrosinistra?
Chiamatela come volete, a noi piace la parola “Unità”, ci è sempre piaciuta e siamo
sicuro che se si prende la strada giusta si riuscirà a declinarla al meglio.
Un cambio di rotta dunque, per rifondare il PD e rifondare l’idea progressista. Non si
tratta di cambiare il nome. Non si tratta di criticare il passato, non serve. L’Italia è un
Paese dove tutti sono ex di qualcosa. Adesso abbiamo bisogno di tutti. Noi che
sogniamo un mondo di persone dobbiamo ricordarci che la politica, per
antonomasia, è sempre una questione personale.
PD Circolo san Pier d’Isonzo
San Pier d’Isonzo, 25 settembre 2018

Il caso del Petrarca è perfettamente calzante

Il caso del Petrarca è perfettamente calzante

Faccio seguito alle polemiche emerse a seguito del CASO del Liceo PETRARCA a Trieste, che pare inverosimile.
La lodevole iniziativa dell’insegnante promotrice dell’iniziativa ha stimolato molte riflessioni sul periodo inquietante che stiamo attraversando, facendo emergere la insufficiente consuetudine con la quale la scuola si misura con temi che dovrebbero rientrare in una prassi ordinaria: le leggi razziali dovrebbero trovare maggior approfondimento tra gli studenti, come emerge dall’importante lavoro della classe, stimolata da una docente attenta e sensibile. È quanto auspicavo attraverso il mio DDL 2766 “Istituzione dell’anno dell’eguaglianza e della lotta alle discriminazioni razziali”, di cui sono stata estensore e prima firmataria, presentato lo scorso anno a marzo in Senato, che trova in qualche modo nel “lavoro del Petrarca” la sua realizzazione.
Ritengo utile trasmettere il testo del DDL, che intende coinvolgere il mondo dell’istruzione in una riflessione sugli 80 anni dalle leggi razziali, nell’auspicio venga rilanciato e trovi quest’anno la sua concretizzazione.
Il tema della discriminazione razziale e la sua condanna sono insiti nelle motivazioni che hanno portato il Parlamento italiano ad approvare l’istituzione della giornata della memoria della shoà.
Purtroppo il razzismo, e non mancano inquietanti episodi che ne minacciano il rigurgito, è tutt’altro che debellato in Europa e nel nostro Paese a oltre settanta anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dopo sofferte conquiste sociali e di civiltà che hanno portato l’Europa (e non solo l’Europa) a vivere il periodo di pace più lungo e di crescita e sviluppo che non hanno eguali nella storia dell’umanità. Si registra, in questi ultimi anni, una crescente ripresa di fenomeni di intolleranza, che destano seria preoccupazione tra coloro che credono, vivono e difendono la democrazia.
Per tali ragioni, scrivevo nella premessa del DDL, in occasione della giornata della memoria, “ritengo doveroso lanciare un segnale di attenzione su queste terribili problematiche portando a conoscenza della proposta di legge depositata al Senato per istituire il 2018 come l’anno dell’uguaglianza e della lotta alle discriminazioni razziali.”
Affrontiamo dunque il tema nella scuola in modo approfondito; una riflessione episodica non servirebbe. Accompagnamo singoli momenti celebrativi o evocativi con una costante educazione al RISPETTO dell’ALTRO, a partire dalle PAROLE.
Di seguito la relazione al DDL e l’articolato.
ExSen.Laura Fasiolo ( XVII LEGISLATURA)

Onorevoli Senatori. — Il 14 luglio 2018 ricorreranno 80 anni dall’introduzione in Italia delle infamanti leggi razziali volute dal regime fascista.
Le leggi razziali di Benito Mussolini portarono alla morte migliaia di ebrei provocando loro sofferenze inenarrabili; migliaia di cittadini italiani di religione ebraica furono perseguitati ed umiliati. I meno fortunati furono arrestati, ridotti alla fame e spogliati di ogni bene, per essere poi spediti nei campi di sterminio, in Germania come anche nella risiera di San Sabba di Trieste.
Il 14 luglio 1938 fu pubblicato il «Manifesto del razzismo italiano» redatto da un gruppo di fascisti docenti nelle università italiane. Il manifesto venne trasformato in decreto il 15 novembre dello stesso anno, controfirmato da Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e imperatore d’Etiopia «per grazia di Dio e per volontà della nazione».
Con il manifesto e con le leggi che vi seguirono, agli ebrei venne proibito di prestare servizio militare, esercitare l’ufficio di tutore, essere proprietari di aziende, essere proprietari di terreni e di fabbricati, avere domestici «ariani». Gli ebrei vennero lentamente licenziati dalle amministrazioni militari e civili, dagli enti provinciali e comunali, dagli enti parastatali, dalle banche, dalle assicurazioni e fu loro proibito l’insegnamento nelle scuole di qualunque ordine e grado.
Le responsabilità del regime fascista furono gravi e dirette, nonostante la tendenza generale volta ad attribuire al solo regime nazista la responsabilità diretta di ogni forma di persecuzione in Europa, assegnando al fascismo italiano una responsabilità o una corresponsabilità solamente marginale per i provvedimenti emanati e le azioni compiute in «sintonia» con l’alleato tedesco.
Il 5 agosto 1938 uscì nelle edicole e nelle librerie il primo numero del giornale «La difesa della Razza», editoriale diretto da Telesio Interlandi. Interlandi era un giornalista e uno scrittore molto conosciuto e già direttore, su disposizione di Mussolini, del quotidiano «Il Tevere». I suoi scritti, ben prima del Manifesto del razzismo italiano, erano intrisi di un razzismo ripugnante.
In ogni caso fu con «La difesa della Razza» che la politica razzista del regime nei confronti degli ebrei divenne metodica e pianificata.
La rivista fu probabilmente il prodotto giornalistico più vergognoso e infame del fascismo, alla cui base risiedevano teorie (quasi sempre totalmente inattendibili e false) che furono prodromiche al decreto del 15 novembre 1938, i cui tratti fondamentali possono essere riassunti nel modo seguente:
— le razze umane esistono;
— esistono grandi razze e piccole razze;
— il concetto di razza è concetto puramente biologico:
— la popolazione dell’Italia attuale è di origina ariana e la sua civiltà ariana; è una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici;
— esiste ormai una pura «razza italiana»;
— è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti;
— è necessario fare una netta distinzione tra mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte gli orientali e da una parte gli africani;
— gli ebrei non appartengono alla razza italiana;
— i caratteri fisici e psicologici degli italiani non devono essere alterati in nessun modo.
Il manifesto rappresenta dunque il vero e proprio inizio della discriminazione nei confronti degli ebrei e che si tradurrà, lo stesso anno, nell’introduzione della prima legge razziale.
Con il presente provvedimento si prevede, ad 80 anni dall’introduzione delle leggi razziali, l’istituzione per l’anno 2018 dell’«Anno dell’eguaglianza e della lotta alle discriminazioni razziali», da affiancarsi, a partire dall’anno successivo, alla Giornata della memoria prevista per il 27 gennaio, di cui alla legge 20 luglio 2000, n. 211, e a una serie di attività tese a non dimenticare quel tragico momento.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Istituzione per il 2018 dell’anno dell’eguaglianza e della lotta alle discriminazioni)
1. In ricordo degli ottant’anni dall’introduzione delle leggi razziali volute del regime fascista, l’anno 2018 è dichiarato «anno dell’eguaglianza e della lotta alle discriminazioni razziali».
Art. 2.
(Concorso nazionale sulle leggi razziali del 1938)
1. Ai fini di cui all’articolo 1, il 14 luglio 2018, presso il Parlamento, si tiene una giornata dedicata al ricordo delle leggi razziali.
2. Possono partecipare alla commemorazione di cui al comma 1 le rappresentanze degli studenti degli istituti di istruzione di ciascuna regione e provincia autonoma selezionati all’esito di un concorso nazionale su base regionale avente ad oggetto le leggi razziali.
3. Al concorso di cui al comma 2 hanno accesso gli istituti di istruzione secondaria di secondo grado che abbiano prodotto un elaborato tematico, realizzato in forma individuale o di gruppo.
4. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituita presso il medesimo Ministero una Commissione con il compito di selezionare gli elaborati vincitori del concorso, uno per ogni regione e provincia autonoma. Dall’attuzione del presente comma, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Art. 3.
(Interventi a sostegno delle attività formative e di studio)
1. A decorrere dall’anno 2019 la celebrazione di cui all’articolo 2, comma 1, ha luogo in coincidenza con la Giornata della memoria di cui alla legge 20 luglio 2000, n. 211.
2. La Commissione, istituita ai sensi dell’articolo 2, comma 4, nel rispetto del limite di spesa di cui all’articolo 4, comma 2, adotta le opportune iniziative volte:
a) al recupero e al restauro di materiale storico, artistico, archivistico e museale riguardante le leggi razziali, nonché alla valorizzazione e alla pubblicazione, anche in formato digitale, del suddetto materiale ed alla sua collocazione in un’unica banca dati consultabile on line;
b) al riordino delle fonti storiche e alla pubblicazione dei relativi documenti insieme con i rispettivi inventari;
c) all’istituzione di borse di studio e all’emanazione di bandi in favore degli studenti delle università italiane;
d) alla realizzazione di ogni altro progetto utile per il conseguimento delle finalità di cui alla presente legge.
Art. 4.
(Copertura finanziaria)
1. All’onere derivante dall’attuazione degli articoli 1 e 2, valutato in un milione di euro per l’anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.
2. All’onere derivante dall’attuazione dell’articolo 3, valutato in 100.000 euro a decorrere dall’anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.